Museo Casa Ludovico Ariosto
MARINA FULGERI E L'OSSIMORO::
<< Lo spazio ha corpo. Lo possiede al punto che in esso ne resta sempre qualcosa.
Tracce. Memorie. Suggestioni. A volte restano anche emozioni, e punti di vista che l'ospite puo' trovare o ritrovare. Certo, non saranno gli stessi, ma i punti di vista, si sa, cambiano anche per il loro stesso autore. Basta poco, basta anche un po' di tempo. Perche' il tempo, come lo spazio, non e' mai vuoto. Il tempo e' una specie di corrente che accumula di tutto, detriti e gioielli, per lui non fa differenza. Trova e abbandona, abbandona e trova, per lui e' uguale. Si pensa che il tempo vada dal passato al futuro. Ma nel tempo della vita c'e' soltanto il presente e, come ha scritto Agostino, al massimo anche un presente passato e un presente futuro. Il tempo che Marina Fulgeri attraversa nello spazio della Casa di Ludovico Ariosto e' quello della vita, e lo spazio che abita nel tempo dell'Orlando Furioso e' quello della psiche. Ed e' cosi' che lei s'insinua in questo spazio/tempo, ascolta, trova il punto di consonanza tra cio' che c'e' e cio' che lei stessa e', e infine tesse i suoi pensieri in forma di cose. Ma le cose non sono cose. Sono tracce, testimonianze del passaggio della sua attenzione che ha raccolto suggestioni, stati d'animo, concetti, imbastendo nel percorso espositivo un discorso che ci descrive innanzitutto lei stessa, e in fondo ci dice anche qualcosa in piu' o di diverso su Ariosto e sul suo Orlando. Per esempio la sua permanenza nella nostra quotidianita', qualora la si voglia cercare. Certo, non e' permanenza che s'impone. Piuttosto si propone, se lasciata parlare, se ascoltata con devota attesa. Attesa di provocazioni, sia chiaro, non di responsi. Attesa intesa come incontro e confronto, non prostrata accoglienza. Bisogna quindi stuzzicarla quella permanenza, provocarla, costruire una domanda magari portando l'attenzione nel punto in cui il linguaggio rischia di spezzarsi nel non-sense, che ormai sappiamo avere comunque un senso.
Marina Fulgeri, per far questo, ricorre alla figura retorica dell'ossimoro, che utilizza come fosse una leva per aprire un varco nello spazio e nel tempo di queste stanze abitate da Ariosto e dai suoi pensieri sull'Orlando. Artificio strambo, a ben guardare, quello dell'ossimoro, ma dagli effetti straordinari che consente in un rapporto di conservare le diversita' dei singoli protagonisti. Due parole di senso opposto che si uniscono in un'unica proposizione, dove in apparenza ciascuna sembra rafforzare la propria significanza annullando quella dell'altra, quando in realta' ad acquisire senso e' proprio quello spazio bianco che consente il loro fronteggiarsi.
E' li' in fondo che si gioca tutto, in un silenzio, in una pausa, nello scarto tra due presenze. Nelle stanze della Casa di Ludovico Ariosto, quindi. >>
Angelo Andreotti
Direttore Musei Civici Arte Antica - Ferrara
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